lunedì 20 gennaio 2014

TI PESTO

Questa me l’ha raccontata nientemeno che mio suocero (che sicuramente - e per fortuna - non conosce la mia doppia vita di blogger ignorante). Per me resta un must, anche se in questo caso sono proprio i genovesi a essere vittime dei turisti...

Cena per l’anniversario di matrimonio. Storico ristorante del levante genovese a picco sul mare. Io prendo le trenette al pesto, ma mi accorgo subito che qualcosa non va per il verso giusto. Non sono il tipo che si lamenta e mangio tutto senza avanzare nulla. Però quel pesto non sa proprio di niente... E così quando la padrona del ristorante, che ormai ci conosce da trent’anni, mi chiede se fosse andato tutto bene non resisto e le dico: "In realtà, se devo essere sincero, il pesto non era un gran che. Aveva poco sapore...". Lei mi guarda e allarga le braccia: "Eh, cosa le devo dire: il fatto è che non ci mettiamo più l’aglio e il pecorino. Sa, i turisti, soprattutto i milanesi, si lamentano che l’aglio e il formaggio sono troppo forti. E così adesso lo facciamo senza questi due ingredienti...". Che è come dire: facciamo la bagna càuda senz’aglio perché ha un gusto troppo forte. Ma belin (questo belìn è una mia licenza poetica, ndr) ordina un’altra cosa...

venerdì 17 gennaio 2014

IL CLIENTE HA SEMPRE TORTO

Questo che vi apprestate a leggere è almeno il terzo post sul gelato che mi trovo a scrivere sul blog. Segno che nei pochi secondi che occorrono per la farcitura di una coppetta o di un cono i nostri concittadini riescono a trovare il tempo per sfoderare tutta la loro simpatia. Insomma per un pranzo o una cena è troppo facile: c'è tempo dalla mezzora alle due ore (non troppo, poi, che bisogna liberare il tavolo, belin) per bacchettare il povero cliente. Col gelato, invece, bisogna essere dei veri maestri, mostrando rapidità e una buona dose di riflessi. E così ecco la disavventura, assai poco comica e piuttosto amara, che ci racconta Manuela Monaco.

Mentre passeggiavo in riva al mare con mio marito in una nota località del ponente ci viene voglia di gelato. Io, che sono la solita viziosa, in cima al cono mi faccio aggiungere anche un po' di panna. Usciamo dalla gelateria e iniziamo a mangiare. Naturalmente inizio proprio dalla panna. Ma mi basta un piccolo assaggio per sentire in bocca un forte gusto di rancido, tipo formaggio andato a male. A quel punto, un po' nauseata, decido di tornare indietro. Mio marito resta fuori dalla gelateria ed entro solo io. Visto che c'è un po' di gente cerco di non fare piazzate e chiamo da parte una delle gelataie e le spiego il problema. Lei però non si scompone, anzi urla verso la sua collega che si trova dall'altra parte del banco e le dice: "Oh senti un po' sta qui che dice che la panna fa schifo". L'altra strabuzza gli occhi, prende un cucchiaino e si dirige verso la macchinetta della panna, per assaggiarla. E secondo lei è buonissima. A quel punto scatta la prova del nove. Arriva anche la prima gelataia, quella che ha chiamato l'amica in soccorso, e fa la stessa cosa. Tutte e due sostengono che non abbia nulla che non vada. E mi lasciano lì. Senza neppure dirmi se avessi voluto - comunque - un altro gelato (da due euro). Mi salutano e continuano a servire i clienti. A quel punto me ne vado e butto il gelato in un cestino dei rifiuti, perché ho quasi vomito da quanto è acida quella panna.

mercoledì 15 gennaio 2014

NON SIAMO MICA UN FAST FOOD

Rieccolo. Dopo una piccola pausa Lorenzo Dorati torna con un'altra di quelle storie che voi umani (o non residenti in Liguria) non avreste mai potuto immaginare.

Negozio di alimentari in una delle Cinque Terre, dove vendono salumi, formaggi, pane e cose varie. Siccome dobbiamo partire per una piccola scampagnata decidiamo di fare un po' di rifornimento. Entro e mi faccio subito avanti: "Buongiorno, senta, ci potrebbe fare un paio di panini?". Da dietro il banco la risposta è immediata: "Sì, abbiamo il permesso da pochi giorni. Però non è che vi possiamo fare mica dei panini chissà come! Un po' di prosciutto, un po' di mortadella e al massimo una fetta di formaggio... Non siamo mica un fast food!" 

martedì 14 gennaio 2014

DU GUST IS MEGL CHE UAN

Ormai sono un catorcio e se non ci foste voi, cari amici, amiche e fedeli lettori, non saprei proprio come aggiornare questo blog (colpa mia che vado a mangiare al ristorante indiano, dove oltre a sorridere e a farmi gli inchini, non me la menano neppure sull'orario). E così ecco una storiella nuova nuova - e pure molto recente - raccontata da Claudio Zuin. Te la qui:

A spasso per la riviera genovese con mia madre (ci troviamo in uno dei Comuni più "in" del levante) decido di approfittare della bella giornata per prendere un gelato. Entriamo in gelateria e appena tocca a noi facciamo la nostra ordinazione. Mia madre sceglie un cono crema e stracciatella. Io invece mi butto sul cono stracciatella e cioccolato. La solerte gelataia, però, si distrae e ne fa due uguali: crema e stracciatella. Le faccio notare l'errore, sfoderando persino un bel sorriso. E lei ha un attimo di smarrimento. Insomma: mettere tre gusti in un cono da due euro e venti non è possibile (pare che la legge lo vieti...). Anzi, facendolo potremmo creare un pericoloso precedente. E allora scatta il genio: la gelataia prende un cucchiaino, raschia via la crema dal mio cono e una volta eliminato il gusto della vergogna, lo sostituisce col cioccolato. Giustizia è stata fatta.

lunedì 13 gennaio 2014

E' UN MOMENTACCIO

Interrompo momentaneamente la saga del buon Lorenzo Dorati (ma non temete, tornerà presto a deliziarci con i suoi racconti di ordinaria follia) e vi sottopongo il contributo di Samuele Ambrosetti, "vecchio" compagno di scuola.

Locale di un elegante quartiere genovese, ora di pranzo. Ci premuniamo di prenotare in anticipo per quattro, ma poi - sacrilegio! - si aggrega un collega. E così ci presentiamo all’ingresso quasi scusandoci: "Buongiorno, siamo XXX, abbiamo prenotato per quattro ma siamo in cinque". Il proprietario non si scompone: "Eh vabbè vorrà dire che vi stringerete, io posto non ce n’ho!". Pochi minuti dopo, una mia collega, seduta insieme a noi, domanda al cameriere delucidazioni sul menù: "Scusi, nelle verdure ripiene, che verdure ci sono?". La risposta è geniale: "Eh, mi fai delle domande... ora poi è un momentaccio".

sabato 11 gennaio 2014

GLI STRANIERI SI ACCONTENTANO

Ve l'avevo detto o no che Lorenzo aveva avuto un'infanzia difficile, ritostorativamente parlando? Belin qui ci mette a parte di un'altra sua disavventura.

Bar ristorante di una delle Cinque Terre (non specifichiamo quale), mese di maggio. Mi avvicino al bancone per chiedere un caffè, visto che sono un po' stanco dalla camminata domenicale. Durante tragitto non incontro un solo italiano e, divertito, lo sottolineo alla barista che si è subito rivolta a me in inglese: "No, no - le dico - sono italiano, mi fa un caffè per favore?". Avrei potuto fermarmi lì, ma non contento continuo: "Certo che in questo periodo ci sono solo stranieri eh? (e lo dico con la mia cocina ligure che più di Genova-Staglieno non si può). La replica è geniale: "Ah sì eh, ma magari ci fossero solo stranieri! Loro sì che si accontentano! O red wine o white wine e basta! Al massimo una birra! Gli italiani, invece, subito a chiederti: che vino è? da dove viene? ebbelin....". E io "Eh già... grazie e arrivederci".

giovedì 9 gennaio 2014

NON CHIEDETEMI PIU' NIENTE

E si continua con la "Saga Dorati", nel senso dei contributi che arrivano dal mitico Lorenzo Dorati, che mi ha mandato una sfilza di e-mail a diego@metrodora.net ricche di fantastiche avventure (eddai, belin, mettete mano alla tastiera e sfogatevi):

Siamo in sei, tutti maschietti e tutti affamati e delusi da una mancata partita tra amici. Alle 20, con il morale sotto le suole, decidiamo di ripiegare su una comunissima pizza, in quel posto bello sulle alture di Genova. Ma sì, dai, andiamo lì che hanno pure il forno a legna! La telefonata, però è d'obbligo: "Buonasera - attacco subito - guardi saremmo in sei e verremmo a mangiarci una pizza su. Mezz'ora e siamo lì.  Va bene?". Dall'altra parte della cornetta si sente un silenzio raggelante e dopo alcuni istanti arriva la sentenza: "Ah...vabbè, ma siete sicuri? Vabbè, ok vi aspettiamo". A quel punto, vista la premessa, senza troppi fronzoli, ci mettiamo tutti in macchina e partiamo. All'arrivo (alle 20,40), i proprietari della conduzione famigliare ci guardano un po' sgomenti e se ne escono con: "Ragazzi, ma giusto una pizza e via eh?... Fosse venerdì o sabato ci mancherebbe, ma di martedì sera... sapete, sono già quasi le 9...". Noi abbiamo troppa fame (sono quasi le 9 in fondo!), cediamo  alle minacce e ordiniamo al volo sei pizze. Pizze molto buone, tra l'altro, e cotte in tempo record, così come in tempo record è stato poi spento il forno. E poi il genio. Dopo averci portato la pizza, il proprietario, lasciandoci una bottiglia di limoncello sul tavolo, ci avvisa: "Ragazzi, la macchina del caffè l'ho spenta e qui c'è il conto. I limoncelli ve li offro io, ma non chiedetemi più niente. Ora mi metto di qua guardare la tv e quando andate via me lo dite che chiudo la porta". 

mercoledì 8 gennaio 2014

NON PRENDETE COSE DIVERSE

Tra crisi ed esigenze fisiche (devo tirare giù qualche chilo, ahimé) mi è capitato sempre più di rado di imbattermi nella cortesia tipica della nostra regione. Per fortuna arriva qualche contributo: anzi, Lorenzo Dorati potrebbe ormai figurare come coautore di questo blog, visto che ne sforna a bizzeffe di storiacce. Questa è la prima che mi ha mandato, e insomma, non è niente male davvero:

Ristorante giovane, giovanile e ruspante della vecchia Genova, quella che vai a cercare e, orgoglioso, cerchi di mostrare ai tuoi ospiti "foresti". Partiamo in sette entusiasti, fra giovinotti e giovinotte, in una serata d’estate. Arriviamo sul posto e il colpo d’occhio non  è male. Tavolini in piazzetta e bella atmosfera. La prenotazione, naturalmente, è stata effettuata nel pomeriggio, a scanso di equivoci... Insomma siamo abbastanza tranquilli di fare bella figura con gli amici stranieri. E invece... appena siamo lì arrivano le prime difficoltà. Il tavolo non è pronto, anzi è ancora da sparecchiare e da apparecchiare (e vabbè). Un po’ titutbanti, i camerieri (un ragazzo e una ragazza) si organizzano con tempi biblici e malgrado l’impaccio ci fanno sedere. Apriamo i menù, controlliamo bene e optiamo per i primi e qualche antipasto condiviso. E così all’arrivo del cameriere prendo la parola: "Allora guarda (visto che sono entrambi giovani, mi permetto di dargli del tu) vorremmo due primi di questo, due primi di quest’altr.....". Non mi fa nemmeno finire di parlare che, con un’espressione da campione mi dice: "Ah, no, ti fermo subito. Se prendete tutti la stessa cosa va bene, ma se il cuoco deve mettersi a fare sette cose diverse mi manda a cagare". Io, incredulo (giuro che mi ha detto così), rincaro la dose: "... Tra l’altro vorremmo anche quest’altro...". Lui, a quel punto, con un sorriso beffardo mi blocca di nuovo: "No no, guarda, assolutamente no. Oh - mette le mani avanti - se volete io prendo l’ordine e la roba vi arriva un po’ così come viene. Poi però non vi lamentate...". Io sono allibito: "Senti ma a questo punto noi ce ne andiamo". E il cameriere: "Ah per me... fate come volete!"

giovedì 2 gennaio 2014

LO SPECIALE DI CAPODANNO

Passiamo la notte di San Silvestro in un rifugio? Certo... solo che il rifugio è in Liguria, anche se sulle alture (senza contare che ci si arriva con le macchina e quindi è pieno di bambini urlanti e genitori chiassosi). Insomma ecco lo speciale di Capodanno di "A quest'ora?":

Arriviamo al rifugio nel pomeriggio del 31 dicembre. Ci sistemiamo e quando scendiamo nel salone, iniziamo a giocare a Monopoli. Un'amica - che ingenua - chiede se è possibile avere un po' di vin brulè. Ma il gestore-barista le risponde "Non ne abbiamo". E poi in un momento di sincerità aggiunge: "A dire il vero non so neppure come si faccia...". Gente di montagna, insomma.

Ci mettono in una stanza da dieci persone tutta per noi (anche perché siamo in nove), ma c'è una doccia soltanto. La vera sorpresa però è l'acqua calda: se la vuoi devi comprare un gettone che costa 2 euro e dura solo tre minuti. Naturalmente i gettoni non funzionano. 

Per il pranzo del primo gennaio ci presentiamo verso le 13,30, dopo una bella camminata sulla neve. Capiamo subito che dobbiamo agire d'anticipo per accaparrarci la polenta con la salsiccia, perché non hanno molto sugo. Il prezzo è di 7,50 euro a porzione. Altrimenti c'è la polenta con lo stufato che si paga quasi il doppio, 12 euro. Il gestore però ci rassicura: nove porzioni con la salsiccia ci sono ancora. E così ci sediamo al tavolo. In pochi minuti il "simpatico" ometto porta posate, piatti e bicchieri. E in un secondo momento arriva con due vassoietti di numero (per nove persone!) con sopra un po' di polenta. A quel punto cominciamo ad avere dei sospetti. Aspettiamo ancora un minuto e si presenta con una cuffa di sugo di salsiccia. E poi non si fa più vivo. Le porzioni sono microscopiche: c'è più sugo che polenta e la polenta è anche un po' secca. Alle persone sedute al tavolo davanti, che hanno optato per la versione "stufato", visto che hanno ordinato dopo di noi, invece, arriva un vassoio di polenta ogni due commensali. E c'è qualcuno che la avanza persino. Sono in sei e ne hanno tre. Noi siamo in nove e di vassoi ne abbiamo solo due. Lo facciamo notare con un po' di rammarico al gestore che ci porta i caffè e al cameriere che sparecchia. Ma niente. Durante il "pranzo" (o aperitivo, viste le porzioni), quando abbiamo provato ad agganciare il gestore per chiedergli qualcosa sulle quantità, prima di poter proferire parola siamo stati bloccati con la bellissima frase: "Ragazzi un attimo, che qui avete tutti fame allo stesso momento" (certo, sarebbe più comodo se si mangiasse a scaglioni, tipo dalle 11 alle 15, ma poi si rischierebbe che la cucina fosse chiusa...). Comunque: quando andiamo a pagare gli facciamo notare l'accaduto. Forse, azzardiamo, per errore è stata portata più polenta agli altri che a noi, visto che erano meno e ne avevano di più. Insomma vorremmo solo pagare le porzioni mangiate: quattro o al massimo sei, ma di certo non nove, visto che la quantità era enormemente inferiore. Ma il gestore è inflessibile. Al massimo, dice, ci può fare lo sconto di 50 centesimi ciascuno (come dire: non vi offro manco il caffè anche se ho sbagliato palesemente). E poi uno sconto del genere su un pranzo da ottanta euro e per un gruppo di persone che tra notte al rifugio e cenone gli ha lasciato quasi 800 euro (senza fattura) sa un po' di presa per i fondelli. Noi proviamo, con educazione, a fargli notare ancora una volta l'ingiustizia della situazione: "Ci tocca pagare - diciamo - per una cosa che non abbiamo mangiato". Lui però allarga le braccia, dice che è colpa delle "donne in cucina che avranno fatto senz'altro qualche pasticcio", ma resta del suo parere. Ti faremo tanta bella pubblicità, stai tranquillo.